E se il primo lavoro non fosse solo un inizio?
Marco, 24 anni, laurea magistrale appena discussa, gifted ovviamente da sempre – anche se ha iniziato a dirlo ad alta voce solo da poco. Quando l’ho conosciuto, stava vivendo quel momento sospeso in cui l’obiettivo raggiunto smette di essere una meta e inizia a sembrare un vuoto. Lo ha capito qualche settimana prima della discussione della tesi, in un’aula silenziosa, circondato da pile di libri, fogli sparsi e post-it incollati ovunque. “Mi è sembrato di sentire un click, come se qualcosa si chiudesse. Ma non ero sollevato. Ero spaventato.”
È quel passaggio sottile e spesso invisibile agli altri in cui realizzi che l’universo in cui ti sei orientato per anni – studio, esami, bibliografie, punti di riferimento – non ci sarà più. E ciò che ti aspetta non è ancora definito. Il primo lavoro, per molte persone, è un trampolino. Per chi è gifted, è spesso un passaggio identitario. Non riguarda solo cosa farai, ma chi potrai essere.

🧠 Il primo lavoro, per chi pensa troppo
Il primo impatto col mondo del lavoro, per una persona ad alto potenziale, raramente è solo una “nuova esperienza”.
È una sfida relazionale, cognitiva, emotiva: “Mi vedranno per ciò che sono davvero?” “Capiranno le mie domande o penseranno che sto cercando di complicare le cose?” “Riuscirò a dare un senso a tutto questo, o finirò per adattarmi a un ruolo che mi sta stretto?”
Spesso le difficoltà non stanno nel lavoro in sé, ma nella frizione tra la complessità interiore e l’impianto operativo esterno. Hai una mente che cerca astrazione e significato, e ti vengono chieste attività ripetitive e spesso prive di contesto. Ti sei formato in ambienti che ti spingevano a pensare, e ora ti si chiede di “eseguire” per un po’. Hai letto libri sulla comunicazione efficace, e ti ritrovi email con emoji passive-aggressive. Next, please!

👀 Smettere di interpretare tutto (e tutti)
Uno degli ostacoli più frequenti nei gifted è l’iper-interpretazione. Leggere i sottotesti, anticipare il non detto, creare narrazioni implicite per proteggersi o per spiegarsi ciò che non torna.
In una prima esperienza professionale, questo tratto può diventare una trappola: ogni feedback può suonare come un verdetto, ogni silenzio come un rifiuto, ogni frase ambigua come un problema da risolvere. Solo che non sempre lo è. Quante volte capita di pensare l’altro come un problema, una fatica, un’incomprensione senza neanche mettere in conto di verificare se la nostra percezione è davvero corretta o meno? E quante volte tutto questo, nel tempo, non fa che generare sempre maggiore distanza in alcuni ambienti di lavoro, tanto da farci pensare che da un’altra parte sarebbe sicuramente meglio? E’ come se, in vacanza in un paese di cui non conosciamo le lingua, ci irrigidissimo se ad una nostra richiesta la risposta non fosse nella nostra, di lingua.
Ecco perchè, quando ci fermiamo un attimo a riflettere, può succedere che:
🔧 una collega ti risponde in monosillabi? Magari ha 43 notifiche da gestire, si sta chiedendo se ce la farà prima della chiusura e tu sei l’ultimo dei suoi pensieri.
🔧 Il tuo capo è brusco? Forse sta gestendo troppa pressione, forse non sa come coordinare quel team dopo l’ennesima discussione, e forse non ha mai capito come comunicare, e questo lo sa pure la moglie.
🔧 I colleghi sembrano superficiali? Forse sono semplicemente pragmatici, hanno il fiato sul collo di almeno tre capi e un anno di lavoro sulle spalle, e mentre sembrano disinteressati stanno solo cercando di sopravvivere all’ennesima giornata caotica.
In tutti questi esempi, non ci sei tu al centro. E quando ti dai modo di osservare meglio, ti puoi accorgere che è molto più comune di quanto pensi. Non si tratta di giustificare, ma di osservare senza interpretare subito. Dare tempo, soprattutto a te stesso, di imparare a non confondere la velocità del tuo pensiero con la necessità di reagire immediatamente.

📊 Rendere la “gavetta” un’occasione di osservazione
Ai tempi dei miei nonni, fare la gavetta significava testa bassa e lavorare. Più era difficile, più a lungo restavi l’ultimo nella scala gerarchica dimostrando di reggere umiliazioni e paga spesso minima, più avevi speranza di riuscire ad alzare testa e soldi, dopo un po’. Poi il tema del posto fisso – e non solo – ha cominciato a traballare e oggi, forse, è possibile pensare alla gavetta come ad un terreno da esplorare più che ad un corso per Navy SEAL.
- Scegli la curiosità concreta: anche se il compito è ripetitivo (riordinare dati, archiviare report), chiediti: a cosa serve? Che cosa permette di capire? Cosa dice del funzionamento interno di questa realtà? E’ migliorabile? Se si, come?
- Allenati a osservare prima di proporre: se individui falle, contraddizioni, margini di miglioramento… prendi nota. Non proporre subito soluzioni – per rispetto dei tempi e degli equilibri in atto. Conserva una cartella di idee e proposte. Il momento giusto arriva (o saprei crearlo tu stesso).
- Fai domande strategiche: per quanto tu possa aver capito molto sin da subito, sei nuovo: rispetto a chi lavora lì da tempo, ne saprai sempre meno. Quindi, informati: perché si usa questa procedura? Esistono alternative già testate? In che modo questo output è utile a chi prende decisioni?
🧩 Magari non è per sempre. Per questo può insegnarti molto
Il primo lavoro non deve assomigliare alla tua idea di “posto fisso”. Deve aiutarti a capire in che direzione non vuoi andare, cosa ti stimola, dove ti senti fuori posto, in che tipo di ambiente ti senti riconosciuto. E allo tesso tempo, ti deve permettere di porti domande come: se questo fosse il lavoro definitivo, ci terrei davvero a rimanere? In cosa mi piacerebbe sfidarmi per renderlo migliore? In quale campo potrei acquisire maggiori competenze?
Non serve compiacere tutti per essere accettati. E non serve dimostrare subito tutto il tuo potenziale per sentirti legittimato.
Ogni fase ha la sua funzione, anche se non sempre riusciamo ad individuarla subito.
Come mi ha detto Marco, qualche mese dopo aver iniziato a lavorare:
“Ero partito in quarta, come al mio solito. E se non avessi cambiato punto di vista, mi sarei schiantato su quel primo muro. Non so se rimarrò, ma nel frattempo mi diverte sapere che c’è ancora qualcosa da imparare, a partire da me stesso!”

Cose sparse e qualche link
Ho scritto questa newsletter con le cuffie e il rumore bianco in sottofondo. Le finestre aperte in estate portano dentro troppa vita: Roma è molto rumorosa… conversazioni ad alta voce, la trattoria sotto casa che non si ferma mai, bambini che strillano instancabili, faide impegnative tra gabbiani, cornacchie e pappagalli, e naturalmente l’immancabile traffico.
L’estate per me è sempre una contraddizione vivente. Da un lato, odio il caldo e odio che mi chieda di rallentare – anche le cose semplici diventano faticose, e la frustrazione dei tempi lunghi si fa sentire. Dall’altro, è il momento dell’anno in cui la testa si attiva: rivedo gli ultimi mesi, creo, progetto, riordino. Scrivo piani e liste operative che mi serviranno da settembre in poi. È come se il corpo si fermasse ma la mente si mettesse a riordinare gli scaffali. Stimolante!
Tornando ai rumori, dopo lungo rimuginare ho finalmente preso queste cuffie. Più che affidarmi alle recensioni ufficiali, mi sono lasciata guidare da chi seguo con fiducia tra i miei profili preferiti – persone neurodivergenti come me, con esigenze simili. Vi saprò dire com’è andata, ma confesso che ho alte aspettative (fosse la volta buona che i cani dei vicini non li sento più per ore?!).
Intanto, nel podcast Conversazioni Neurodivergenti che co-conduco con Alessandra Marconato, la sesta stagione è in pieno movimento. Una delle ultime interviste è stata con la Dr.ssa Valeria Trezzi: abbiamo parlato di plusdotazione femminile, di stereotipi sottili ma potenti, e di come spesso proprio le ragazze e le donne gifted si trovino intrappolate in immagini che non hanno scelto ma che fanno comunque fatica a lasciare andare.
E se non ci seguite ancora, sappiate che a breve uscirà una puntata con un ospite un po’ speciale: lui è psicologo e psicopedagogista specializzato nell’alto potenziale cognitivo, lavora principalmente in Svizzera e ha scritto il suo ultimo libro – pubblicato da 78Edizioni – che uscirà mercoledì 25 giugno. Curiosi? Vi aspettiamo!
Ho anche finito una serie in due giorni. Non mi capitava da tempo. Geniale, cruda in modo tagliente, con una prima puntata che contiene due colpi di scena perfetti. I personaggi – neurodivergenze ne abbiamo? – sono descritti in modo chirurgico, la storia fa male in ogni senso e ti rimane incollata dentro. Ovviamente ho già salvato nella wish list tutti i libri dell’autore da cui è tratta. Capolavoro.
In questa newsletter forse ho messo più link del dovuto. Ma se non per condividere, a che serve scriverla?

Lumina è la newsletter in cui ti racconto il mondo gifted dal punto di vista di chi gifted lo è e ha fatto della sua neurodivergenza uno strumento per aiutare altri gifted. Troverai storie ed esperienze, mie e delle persone che si affidano a me. Idee, suggerimenti, qualche strategia e molti fallimenti. Sentiti a casa, mettiti comodo e comoda, vuoi un caffè? Buona lettura!
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