Lumina n. 29

20 Apr 2025

Dirlo o non dirlo? ADHD, etichette e autenticità

“Ho l’ADHD”. Per qualcuno è liberatorio, quasi rivoluzionario. Per altri è una frase che pesa, perché significa rischiare di essere incasellati dentro un’etichetta che cancella il resto.

La paura è reale. Ti chiedi: se lo dico, penseranno che uso una scusa? Che sto cercando attenzioni speciali? Che tutto quello che sono si riduce a una diagnosi? Oppure mi diranno che l’ADHD non esiste e io sono solo una persona un po’ eccentrica?

Facciamo chiarezza. L’ADHD non è tutto ciò che sei, ma è sicuramente un filtro con cui guardi e vivi il mondo. Nasconderlo per paura del giudizio non elimina quella lente: la rende solo più faticosa da gestire.

Il punto non è “dirlo o non dirlo”, ma COME raccontarti agli altri senza lasciarti definire da stereotipi.

Distraibilità, difficoltà nel mantenere a lungo l’attenzione, tendenza a evitare impegni che richiedono sforzo mentale prolungato, dimenticanze frequenti; inquietudine fisica, impulsività, logorrea, difficoltà a rispettare il turno nelle conversazioni; disorganizzazione e caos nella pianificazione quotidiana; difficoltà nelle relazioni sociali e nella lettura emotiva degli altri; sensazione costante di noia e insoddisfazione nella vita quotidiana; frustrazione immediata di fronte agli imprevisti; e una labilità emotiva intensa e spesso destabilizzante (fonte State of Mind). Tutti questi aspetti fanno parte dell’ADHD, ma non ti definiscono nella tua interezza.

Ecco perchè, quando ti sfidi a raccontare la verità completa su di te, sei in grado di parlare della tua mente iperattiva e creativa, della velocità di pensiero, dell’intuizione immediata, e di quanta energia porti in ogni cosa. Certo, anche le difficoltà, ma senza fermarti lì.

🗣 Dirlo o non dirlo?

Parlare di ADHD può rappresentare un momento di vulnerabilità in cui apriamo una porta su noi stessi, mentre temiamo di vederla chiusa brutalmente da un giudizio. La questione, appunto, non è tanto se dirlo o non dirlo, ma come e quando farlo. Non c’è un “momento giusto” universale, ma alcuni spunti potrebbero aiutare a capire quando vale la pena aprirsi.

• Al lavoro: se l’ADHD impatta sulla tua produttività o sul modo in cui ti relazioni con gli altri, parlarne può essere utile. Ma attenzione: non ti stai giustificando, stai solo cercando di far capire agli altri che segui meccanismi differenti. Dire “ho l’ADHD” potrebbe aprire la strada a una comunicazione più sincera e un miglioramento dell’ambiente di lavoro, dal momento che i tuoi colleghi potrebbero comprendere ciò che prima, magari, giudicavano e basta. Prova a condividere alcuni successi ottenuti grazie alle caratteristiche dell’ADHD, come pensare in modo innovativo, gestire imprevisti, vedere dettagli che altri non notano. In questo modo aiuterai gli altri a vedere questo aspetto non solo come un ostacolo, ma anche come una risorsa da valorizzare.

• Con i familiari o amici intimi: in un ambiente protetto, parlarne è importante e può creare connessioni più profonde. Spiegare cos’è l’ADHD, senza omettere le sfide che comporta, aiuta a smantellare il pregiudizio e a costruire una comprensione più empatica.

• In contesti sociali o professionali più ampi: è inutile negare che esistono ambienti in cui il concetto di neurodivergenza non è stato ancora ben compreso e accettato. Chiediti: quanto sono pronto a condividere di me? Parti dalla consapevolezza della cultura che ti circonda e del fatto che potrebbe essere necessario proteggerti da possibili pregiudizi per tutelare il tuo benessere emotivo o professionale. Se senti la legittima esigenza di dirlo, parti da qualcuno di cui ti fidi e, pian piano, allarga il cerchio. Senza fretta, con i tuoi tempi.

🎭 Se mi prendo in giro da solo, non te ne accorgi davvero.

Ti racconto la storia di Matteo, project manager di una grande azienda tecnologica, che si è rivolto a me perché sentiva che l’ADHD stava influenzando negativamente le sue interazioni professionali, e aveva paura di essere giudicato incapace o distratto dai colleghi.

Per molto tempo aveva preferito nascondersi dietro frasi ironiche o giustificative (“Oggi sono proprio agitato vero?! Saranno i quattro caffè di stamattina!” “Eh scusa se ti ho interrotto, però così non hai perso tempo a spiegare questa cosa!”), vivendo in un clima sufficientemente in equilibrio. Ma quando il suo team si è trovato a lavorare su diversi progetti molto sfidanti e in contemporanea, alcuni aspetti della sua neurodivergenza si sono accentuati talmente tanto da creare difficoltà a tutto il gruppo.

Insieme, abbiamo lavorato sul modo in cui poteva comunicare la sua neurodivergenza. Abbiamo preparato insieme un racconto autentico e costruttivo che sottolineasse non solo le difficoltà, ma anche i suoi punti di forza, come la rapidità nel risolvere problemi complessi e l’abilità nel gestire imprevisti con creatività.

Matteo ha scelto un momento opportuno – un veloce ma significativo coffee break – e ha condiviso con il suo team questa parte di sé, mostrando concretamente come le sue caratteristiche fossero un valore aggiunto per i loro progetti. La reazione positiva e il supporto che ne è derivato hanno migliorato significativamente la sua vita lavorativa, facendogli capire che essere autentici è spesso la migliore strategia.

L’ADHD non è una condanna, né qualcosa di cui vergognarsi. È una parte del tuo essere, e come tutte le cose che ci appartengono, merita di essere compresa e accettata. Parlane con serenità, senza il peso di voler giustificare ogni cosa. Non tutti saranno pronti a capire. E questo è ok. Non puoi controllare la reazione degli altri, ma puoi scegliere come reagire tu. Se qualcuno non capisce o ti giudica, ricordati che il problema non è tuo, ma della loro mancanza di comprensione. Ricorda anche che “ho l’ADHD” può diventare un vero e proprio manifesto di autenticità, un modo per dire: “Ecco chi sono, e va bene così.”

Cose che nessuno ti dice ma che fanno la differenza

Che non sei obbligatə a raccontare tutto a tutti per essere autentico.
Che spiegare chi sei non è un dovere, ma una possibilità – da usare solo quando ti senti al sicuro.
Che non è vero che “se non ti capiscono è perché ti spieghi male”: a volte ti capiscono benissimo, e il problema è proprio quello.
Che anche se ti sei abituatə a farcela da solə, ad un certo punto puoi scegliere di farti accompagnare.
E che riconoscere il momento in cui smetti di giustificarti e inizi a raccontarti… è una soglia silenziosa, ma potente.

Ci si passa in punta di piedi. Ma poi cambia tutto.

Lumina è la newsletter in cui ti racconto il mondo gifted dal punto di vista di chi gifted lo è e ha fatto della sua neurodivergenza uno strumento per aiutare altri gifted. Troverai storie ed esperienze, mie e delle persone che si affidano a me. Idee, suggerimenti, qualche strategia e molti fallimenti. Sentiti a casa, mettiti comodo e comoda, vuoi un caffè? Buona lettura!

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