Quando la maschera funziona troppo bene: gifted adulti e identità professionale
Ci sono momenti in cui ti rendi conto che stai facendo tutto “come si deve”, ma non riesci più a riconoscerti in quello che fai. Non è insoddisfazione generica, né noia: è una distanza sottile, quasi invisibile, che cresce tra quello che sei e quello che mostri. Se sei gifted, forse conosci bene questa sensazione. Ti adatti, impari a parlare una lingua che non è la tua, nascondi il modo rapido, complesso, laterale in cui pensi. E senza quasi accorgertene, ti trovi a funzionare in un ruolo che ti va stretto, dentro un copione che non hai scritto tu.
Entrare in un’azienda da gifted significa spesso adattarsi a ritmi, logiche e linguaggi che non ti appartengono davvero. All’inizio osservi, studi il contesto, limi gli angoli più spigolosi, cerchi di “rientrare” nella norma senza perdere te stesso. Ma senza quasi accorgertene, quello che era un piccolo aggiustamento diventa una vera e propria maschera.
Una maschera che funziona così bene che, a poco a poco, dimentichi perfino che è una maschera.
Non è solo adattamento, è una costruzione identitaria a lungo termine: impari a parlare come loro, a selezionare solo alcune parti di te, a non far vedere quella velocità di pensiero, quella capacità di cogliere nessi invisibili che in altri contesti sarebbero il tuo valore più autentico. Eppure, sotto quella maschera, inizi lentamente a scollegarti da chi sei.

📊 La storia di Giulia: quando il successo non basta più
Giulia ha 38 anni, è assistente amministrativa in un’azienda italiana di circa 100 dipendenti. Il suo lavoro è preciso, affidabile, sempre puntuale. Da fuori, tutto sembra a posto: rispetto delle scadenze, relazioni cordiali, una presenza solida. Eppure, quando mi contatta, è in crisi. Mi dice: “Ogni giorno faccio bene quello che devo, ma sento che sto scomparendo.”
Non è una questione di competenze, né di carico di lavoro. È che da anni, per adeguarsi all’ambiente, aveva messo da parte il suo pensiero laterale, la sua capacità di vedere collegamenti tra aree diverse, il suo modo naturale di trovare soluzioni più efficaci e rapide. Aveva imparato a rimanere nella cornice stretta delle procedure, a non disturbare con intuizioni che nessuno chiedeva. Aveva fatto quello che molti fanno per sopravvivere: aveva ridotto se stessa alla versione più accettabile.
Nel nostro lavoro insieme non abbiamo parlato di lasciare l’azienda o cambiare completamente percorso. Abbiamo lavorato su un obiettivo più sottile e profondo: riportare autenticità nella sua quotidianità. Abbiamo iniziato da piccoli gesti: suggerire miglioramenti ai processi interni, proporre modalità operative che facilitassero il lavoro del team. Non rivoluzioni, ma modi concreti per ricominciare a usare quel tipo di intelligenza che aveva imparato a mettere a tacere.
Uno dei momenti più importanti è stato quando ha riorganizzato il flusso delle comunicazioni interne, un progetto piccolo ma essenziale che ha migliorato la qualità del lavoro di tutto l’ufficio. Non era solo un risultato operativo: era il primo passo per riaffermare la sua presenza autentica.
Oggi Giulia non ha cambiato azienda, ma ha cambiato il modo in cui abita il suo ruolo. Non è diventata un’altra persona: è tornata ad essere più vicina a chi era all’inizio, con una consapevolezza nuova e una voce più sicura.

🔹 Da dove puoi iniziare anche tu
Se leggendo ti riconosci, sappi che il primo passo non è buttare via tutto o cambiare rotta da un giorno all’altro. La maschera che hai costruito ti ha protetto, ti ha permesso di arrivare dove sei ora, e non va demonizzata.
Quello che puoi iniziare a fare, però, è questo:
- Tieni un diario delle intuizioni. Ogni volta che ti viene un’idea, una soluzione, una visione alternativa che scegli di non condividere, annotala. Giusto per per ricordarti che esiste dandole voce costantemente.
- Individua un micro-spazio di autenticità. Cerca, anche nel tuo contesto attuale, un’area in cui puoi permetterti di portare più di te. Forse non è una rivoluzione: è una diversa modalità di gestire un’attività, una proposta migliorativa, un’idea che renda il lavoro quotidiano più tuo. E prima di dire “Non c’è!”, forse potresti crearlo tu questo spazio?
Sono movimenti minimi, ma servono a invertire il processo: smetti di cancellarti, inizi a riaffiorare. Gesti semplici, che non sempre bastano, ma servono a riprendere contatto, perchè poi il lavoro vero è più profondo.
Ed è quello che faccio con chi, come te, ha deciso che non vuole più solo funzionare. Vuole anche tornare a sentirsi vivo.
“Il vero lavoro è diventare chi sei davvero.”
Carl Jung

Cose che ho difeso questa settimana
Questa settimana ho difeso qualcosa di molto semplice, eppure difficile da proteggere: la mia energia.
Collaboro con persone straordinarie, e con il tempo ho imparato a sceglierle, a riconoscere chi sa stare in una relazione autentica, chi sa vedere anche oltre il proprio bisogno immediato.
Capita, raramente ma capita, di incrociare chi non sa mettersi nei panni degli altri. E quando accade, ho imparato a smettere di cercare spiegazioni o giustificazioni per ciò che non è più giustificabile. Mi sono chiesta: “Se un’amica vivesse questa situazione, cosa le consiglierei?” Probabilmente di dire basta a ciò che toglie – invece di dare – energia e bellezza. Con rispetto, ma senza esitazioni.
E proteggere così quello spazio vitale in cui fioriscono le idee, la fiducia, e quella sensazione di essere centrata che, tornando a me, è qualcosa a cui non sono disposta a rinunciare.

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