Di perdite e nuove vie
Ho pensato molto in questi ultimi giorni a cosa avrei voluto raccontare con questa newsletter, a come avrei voluto che le mie parole potessero in qualche modo avere un senso oltre me. Tutte le scelte che man mano facevo, però, si sono rivelate non adeguate al mio sentire. E siccome non credo nella finzione, nel voler apparire come in realtà non mi sento, eccomi qui a parlarti di tristezza.

Quanto sai prenderti cura di te davvero?
Quando siamo tristi, abbiamo la percezione di essere legati a qualcosa e di aver perso questo qualcosa. E di conseguenza di essere rimasti soli. Quello che ci viene naturale è l’attivazione di un sistema di spegnimento: la tristezza, appunto.
Si percepisce la spinta a ritirarsi, a lasciarsi andare, e questo riduce l’esposizione potenziale ai pericoli esterni – che per un neurodivergente può essere anche una sovrastimolante serata tra amici – perché ci mettiamo in sicurezza da qualche parte, riducendo il consumo di calorie andando a riposare, a spengere l’attivazione fisica.
In noi ha anche il senso di dare informazioni agli altri: da bambini, stimola la protezione, sollecita l’attivazione a farci stare meglio, a sollevarci dalla perdita. Da adulti, invece, crea anche sensazioni di allontanamento dal rumore del mondo. A volte, c’è un abuso del termine depressione che, quando non presente, di fatto descrive noi stessi e l’altro in termini di malattia, autorizzando il pensiero negativo su questa emozione, invece tanto preziosa.
Preziosa perchè, quando ben utilizzata e non temuta, ci porta molto ad avere cura di noi in modalità di miglior caregiver di noi stessi.

Chi si ferma, è perduto!
La tristezza non va di moda. L’essere ipoattivato disturba la società: non sei produttivo, non sei attivo per il bene del gruppo, non vai bene se ti fermi su te stesso. Se hai un lutto, hai solo tre giorni per tornare al lavoro. Se non ce la fai da solo, prendi farmaci. Il che ovviamente ha senso se serve davvero, ma non lo ha quando lo si fa finendo per patologizzare un’esperienza di per sé naturale.
Spesso, quindi, diamo un significato errato alla tristezza perché ce ne vergogniamo, non perché effettivamente diviene, in alcuni casi, un’emozione che invalida il nostro agire quotidiano e nel lungo periodo.
E se anche la tristezza fosse un’amica preziosa?
Pochi giorni fa ho dovuto compiere l’atto più generoso e difficile che io conosca: lasciare che la mia gatta smettesse di stare male e iniziasse un altro viaggio. Mentre te ne parlo, una vocina antipatica nella mia mente mi sta dicendo: “Era solo una gatta, non puoi parlare di questo! Cosa penserà chi ti legge?”.
Eppure, sai una cosa? Sto riflettendo moltissimo su quanto mi sta accadendo e ho avuto molti insight in questi giorni tra cui proprio il fatto che l’amore è amore. Non ha la forma di chi lo riceve ma di chi lo dona.
Chiunque può vivere la tua stessa esperienza o saperne a livello teorico, ma quello che non saprà mai sono le tue sfumature emotive, come tu hai vissuto il tuo amore per un altro essere vivente, come lo hai sentito vicino a te, come avete danzato insieme ogni giorno nella quotidianità della tua casa, delle vostre vite. Quindi si: a quella vocina che vuole sminuire un’emozione importante e il suo racconto diciamo più spesso possibile di farsi gli affari propri.
Cosa rende utile la tristezza? Oggi per me la differenza la fa la consapevolezza che posso dare un tempo giusto a questa emozione, prendendomi lo spazio per aver cura di me. Mentre lascio in sospeso ciò che posso, questi sono giorni in cui mi concedo di stare in una nuova routine decisamente non confortevole, di lasciare che il dolore arrivi quando vuole e che mi attraversi, senza imporgli ritmi innaturali ma anche senza che si prenda ciò che non gli appartiene.
Il dolore, la perdita ma anche la fragilità di un nuovo modello di vita che certamente nessuno desidera, chiedono tempo. Tempo per riflettere, per cambiare percorsi fisici e neuronali – hai mai provato a modificare il giro delle azioni che fai ogni mattina appena ti alzi? – , per far entrare altro ma che non abbia l’obbligo di riempire il vuoto (piuttosto diamo una forma al bisogno che nasconde, così da non fare scelte poco allineate ai nostri valori).
Stare nella tristezza è essenziale perchè tutto riprenda nel suo ritmo. Uno nuovo, che ancora non conosciamo, che ci spaventa, che ci fa sentire insicuri ma che ha in sé anche il brivido e la curiosità dell’ignoto.

Un’altra cosa che questo momento così prezioso mi sta restituendo è una riflessione su come di solito l’esser tristi viene decodificato in base al tipo di perdita. Va da sé che un conto è perdere una macchina e un conto è perdere una persona cara. Ogni cosa ha il suo valore e per ognuno questo valore ha forme e definizioni diverse. Quello che credo sia sempre utile è capire davvero la forma e la densità di quello che proviamo, dare un nome e un cognome ai pensieri, alle sensazioni, non per trattenerli ma per aiutarci ad elaborare la perdita e a farne un’esperienza utile per noi.
Se è vero che ciò che rifiutiamo di affrontare alla fine ci presenta inevitabilmente il conto, allora il tempo che investiamo nel prenderci cura di noi stessi assume un valore incommensurabile. Accettare e vivere le nostre emozioni esattamente come si presentano, anche quando emergono in modo improvviso e inatteso, rappresenta un dialogo incessante e profondo tra noi stessi e il nostro complesso mondo emotivo. Riesci a vederne i vantaggi?

COSE BELLE CHE HO IMPARATO QUESTA SETTIMANA
- Troppo spesso si da per scontato ciò che pensiamo di noi stessi. Ci descriviamo con parole e modi che abbiamo imparato da altri e, quando va bene, ci diamo appena la sufficienza. Concedersi, quando necessario, un tempo di ritiro e di cura può significare anche avere modo di scoprirsi già abili in qualcosa che credevamo non ci appartenesse ancora. Per me questa volta ha avuto il significato di riconoscermi che sono indipendente dalla paura e che posso scegliere di vivere sofferenza e gioia per ciò che sono, senza sovrastrutture.
- Ogni anno scelgo una parola che possa farmi da guida per i mesi che verranno. Quest’anno, senza quasi che la cercassi, è “semplificare“. Che detto da una gifted fa abbastanza mission impossible! Ma, in qualche modo, il percorso di questi ultimi giorni mi ha regalato una nuova chiarezza: posso fare spazio invece di controllare, fidarmi del processo invece di gestire. Semplice!
Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con l’intelligenza: lo conosciamo, nella stessa misura, attraverso il sentimento.
Quindi il giudizio dell’intelligenza è, nel migliore dei casi, soltanto metà della verità.
C.G.Jung, 1921
In questa newsletter ti ho parlato di un’emozione, la tristezza. Sapevi che di lei e di tutte le altre emozioni primarie parlo nel mio percorso dedicato ai genitori di bambini e ragazzi gifted? Se vuoi saperne di più, parliamone!

Lumina è la newsletter in cui ti racconto il mondo gifted dal punto di vista di chi gifted lo è e ha fatto della sua neurodivergenza uno strumento per aiutare altri gifted. Troverai storie ed esperienze, mie e delle persone che si affidano a me. Idee, suggerimenti, qualche strategia e molti fallimenti. Sentiti a casa, mettiti comodo e comoda, vuoi un caffè? Buona lettura!
📚Se vuoi leggere le puntate precedenti, le trovi qui.
🗣Se hai voglia di farla conoscere ad altri, sappi che ne sarò sempre onorata!
🔗Se vuoi seguirmi sui social mi trovi qui: LinkedIn, Instagram, Facebook .
🎙Sai che ho co-creato un podcast che parla di plusdotazione? Lo trovi qui.