Di sensi di colpa, gratitudine e madri scavezzacollo!
Se sei un freelance gifted, probabilmente conosci bene questa sensazione: mentre prepari la borsa per andare in palestra o ti concedi una pausa per leggere un libro, una voce interiore inizia a sussurrati che dovresti essere al computer, a finire quel progetto o a pensare a nuove idee per il lavoro. E poi continua, un po’ acida: come pensi di potercela fare, se non sei neanche in grado di disciplinarti nel lavoro? E poi saresti tu quello/a che vuole vivere di partita IVA?! Eccolo qui: il senso di colpa, vecchio compagno di viaggio di chi si sente chiamato a dare sempre il massimo.
Siamo figli e nipoti di chi ha pensato e vissuto il lavoro come un processo di fatica e sacrifici che, nel tempo, avrebbe portato sicuramente a determinati benefici: una casa, una famiglia, qualche viaggio, la pensione. E tutto questo è diventato, nel tempo, la cultura in cui sono cresciute le generazioni successive. Il risultato è che, mentre il lavoro e il modo di pensare il lavoro sono totalmente cambiati, profondamente siamo ancora qui a pensarci sbagliati se diamo spazio ad altro che non sia schiena curva e giù a faticare.
Se per molti questo è un tema, per i gifted si aprono ulteriori scenari: il lavoro non è solo un modo per guadagnarsi da vivere, ma un’estensione della propria identità e una fonte di significato. Se scelgo di dare il mio contributo ad un progetto, che sia perchè sono un libero professionista oppure un dipendente, per me quello è un interesse primario e un punto di partenza per realizzare ulteriori obiettivi su cui difficilmente posso scendere a compromessi.
Ecco perché ogni singolo minuto che non è dedicato alla produzione o all’apprendimento di qualcosa può sembrare un minuto completamente sprecato. Questa percezione può dare origine a un circolo vizioso di overworking e overthinking, portando inevitabilmente a trascurare bisogni essenziali come il movimento fisico, il necessario riposo e le relazioni personali, tutte cose fondamentali per il benessere.

La storia di Marco
Libero professionista da diversi anni, Marco aveva dovuto iniziare un lavoro profondo e continuativo con un osteopata dopo l’insorgenza di diversi problemi fisici. Lo stesso osteopata, ad un certo punto, lo aveva “minacciato”: o iniziava a prendersi delle pause giornaliere per imparare a rilassarsi davvero, oppure avrebbero smesso di lavorare insieme.
Messo alle strette, Marco ha voluto quindi comprendere in che modo potesse iniziare ad riorganizzare la sua vita professionale per incastrarci qui e là un po’ di palestra o qualche passeggiata.
Inizialmente, la resistenza è stata totale: non poteva rinunciare a nessuno dei suoi appuntamenti (cosa avrebbero pensato i suoi clienti se all’improvviso avesse iniziato a spostare call?!), al massimo poteva pensare di fare qualche incontro on line mentre camminava fingendo di andare ad un altro appuntamento.
Compito del coach non è dire cosa è bene o male per il cliente, ma è sempre quello di lasciargli esplorare le sue decisioni e aiutarlo a comprendere il feedback che ne deriva.
Dopo qualche tentativo disastroso, con conseguente peggioramento fisico e ulteriore sgridata dell’osteopata, Marco ha iniziato a cedere: il venerdì dalle 17.00 divenne il momento fisso in agenda per andare in palestra.
Ma quello che lo ha aiutato davvero non è stato solo il mantenere fede a quell’impegno come se fosse un appuntamento di lavoro. Bensì, da un certo punto in poi del nostro percorso, rispondere a questa riflessione: tra cinque anni da oggi, dove sei? Cosa fai? In una tua giornata tipo, quali sono i tuoi impegni e quali persone frequenti? Ma soprattutto, come stai fisicamente?
Immaginarsi in un futuro non troppo lontano e facilmente realizzabile aiuta sempre a proiettarsi in una visione di ciò che desideriamo realizzare: più la dettagliamo, più vogliamo davvero realizzarla.
Per Marco, partendo da un piccolo passo – creare uno spazio di benessere e consolidarlo nelle settimane successive – questo ha significato iniziare ad amare davvero una versione di se stesso migliore e molto più efficace anche nel proprio lavoro.

Perché è importante cambiare prospettiva
Il senso di colpa nasce spesso dalla convinzione che ogni scelta sia un “o/o” (o lavoro o palestra), ma in realtà prendersi cura di sé è un “e/e”: un investimento su di noi che, a lungo termine, migliora anche la qualità del proprio lavoro.
Rimanendo sul tema della palestra: quando ci alleniamo, il cervello rilascia endorfine, migliorando l’umore ma soprattutto la capacità di concentrazione (io non proverei a sollevare neanche un chilo senza riflettere bene sul movimento che sto per fare!).
E ancora: se ci concediamo qualche ora per leggere o per andare ad una mostra a cui teniamo davvero, quanta energia stiamo dando al nostro cervello? A quanti stimoli nuovi e diversi lo stiamo esponendo? E quante connessioni e idee possono nascere da attività simili?
Serve iniziare a pensare che non siamo solo i risultati che vogliamo: il nostro valore come persone non dipende da quante ore lavoriamo o da quanto fatturiamo. Ma da come viviamo ciò che scegliamo come lavoro e che significato diamo a quello che facciamo e in quale condizione fisica e mentale vogliamo farlo.
Stanca dieci volte di più fare un lavoro che non ci da senso, nè spazio per viverci pause, dell’andare tutta la settimana in palestra ad allenarsi, perchè non permettiamo alla nostra mente sempre attiva di ricaricarsi e non ci apriamo alle intuizioni che ci arrivano proprio quando ci rilassiamo.

Ma come si trasforma il senso di colpa?
Prendersi cura di sé non è un lusso, è un atto di responsabilità verso se stessi e il proprio modo di essere gifted. E allora, quando il senso di colpa si fa sentire, prova a chiederti: “Cosa succederebbe se mi prendessi questa pausa? Che effetto avrebbe sul mio lavoro e sul mio benessere?” .
Rifletti e stai nelle risposte che ti arrivano, fino a quando, la prossima volta che andrai in palestra o ti dedicherai a un momento di svago, potrai farlo con l’orgoglio e la consapevolezza di sapere che stai coltivando non solo il tuo corpo, ma anche la tua mente e il tuo intuito.
Come sempre, è un inizio. Ma se vorrai concederti spazio, questo approccio ti aiuterà a crescere in modo olistico, permettendoti di affrontare le sfide della vita quotidiana con maggiore equilibrio e serenità, integrando armoniosamente tutte le parti di te stesso.

COSE BELLE CHE HO IMPARATO DI CUI SONO STATA GRATA IN QUESTA SETTIMANA:
Avere un’amica a pranzo senza averlo organizzato prima e passare un pomeriggio di relax senza il senso di colpa del lavoro non fatto.
Esserci ascoltando una brutta notizia detta con paura ma finendo per ridere insieme e dirsi grazie perchè non sarà una lotta solitaria ma condivisa.
Stare in un pranzo di famiglia in cui ci sono ancora tutti i “grandi” e ascoltarli raccontare storie, scoprendo che mia madre camminava sui cornicioni del sesto piano per passare da un balcone all’altro oppure con i fratelli si divertiva a scendere a cavalcioni del corrimano delle scale del condominio. Sempre dal sesto piano. E pensare che, in fondo, le somiglio davvero molto!

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